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Solitudine, una sensazione che si avverte più forte nei giorni festivi

19 Aprile 2021

L’isolamento per rallentare i contagi impedisce contatti con famigliari e amici. Cosa succede nel cervello quando ci si sente soli e come compensare il «deficit di abbracci»

Tutti, nel corso dell’ultimo anno, abbiamo sperimentato la solitudine più che in passato. I bambini e i ragazzi chiusi nelle loro camere a seguire le lezioni lontani dai compagni, gli anziani senza contatti con i familiari per proteggersi dal contagio, i tanti che ormai lavorano sempre o quasi da casa; per non parlare dell’isolamento di chi è risultato positivo a Sars-CoV-2 e si è ammalato con sintomi più o meno gravi. La solitudine, già compagna di vita per moltissimi, è dilagata e purtroppo si fa sentire ancora di più nelle giornate di festa: anche quest’anno la «Pasqua con chi vuoi» è stata per moltissimi una giornata in solitaria, senza pranzi con amici né gite fuoriporta. E più che di uova di cioccolato abbiamo avuto fame di abbracci e chiacchiere, almeno stando ai più recenti studi in materia: una ricerca pubblicata su Nature Neuroscience e discussa durante l’ultimo congresso della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia (Sinpf), per esempio, ha dimostrato che il cervello di chi è solo soffre come se fossimo costretti a digiunare dal cibo. Per scoprire gli effetti della solitudine sull’attività cerebrale alcuni volontari sono stati isolati da qualsiasi contatto umano per dieci ore e poi si sono sottoposti a una risonanza magnetica funzionale (per non falsare i risultati incontrando i ricercatori, i partecipanti sono stati addirittura istruiti per potersi accomodare da soli nel macchinario in maniera corretta); quindi, sono stati fatti digiunare per 10 ore e di nuovo analizzati con la risonanza.

Una necessità vitale

I risultati mostrano che l’isolamento protratto accende la substantia nigra, un’area cerebrale che si attiva allo stesso modo anche con il desiderio di cibo. «Abbiamo un cervello sociale, che ha bisogno di contatti umani proprio come abbiamo necessità di mangiare per vivere: non si tratta di una metafora, lo provano questi dati secondo cui peraltro gli effetti dell’isolamento sono più evidenti in chi prima di ritrovarsi a lungo da solo aveva una vita piena di relazioni sociali soddisfacenti», osserva Claudio Mencacci, co-presidente Sinpf e direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Salute Mentale Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano. «Quando siamo “a digiuno” del rapporto con l’altro il cervello soffre e lo desidera disperatamente — aggiunge Matteo Balestrieri, co-presidente Sinpf e docente di psichiatria dell’Università di Brescia —. Purtroppo le regole di distanziamento sociale imposte per contenere la pandemia di Covid-19 in corso stanno aumentando la solitudine, con effetti marcati soprattutto nelle fasce d’età che per motivi diversi tendono più spesso ad allontanarsi dal resto del mondo, ovvero anziani e adolescenti».

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