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Il Covid-19 non è una pandemia, ma una sindemia”: il virus colpisce anche la psiche

4 Febbraio 2021

“Il Covid-19 non è solo una pandemia, ma una sindemia”. Ne è convinto Richard Horton, caporedattore di The Lancet che, dalle pagine della prestigiosa rivista medica, è stato tra i primi ad osservare che la diffusione del coronavirus non implica soltanto la lotta all’agente infettivo, ma anche un insieme di problemi ambientali, sociali ed economici capaci di generare pesanti ripercussioni sulla popolazione mondiale.

Dal punto di vista etimologico “sindemia” deriva dal greco συν (insieme) e δήμος (popolo), con νόσημα (patologia): la peculiarità di una sindemia, infatti, implica la concomitanza di due o più patologie, che interagiscono influenzandosi negativamente. Già negli anni Novanta del secolo scorso, il medico e antropologo Merril Singer affermava che “le sindemie sono la concentrazione e l’interazione deleteria di due o più malattie o altre condizioni di salute in una popolazione, soprattutto come conseguenza dell’ineguaglianza sociale e dell’esercizio ingiusto del potere”.

D’altronde, i dati e il parere degli scienziati rivelano che il SARS-Cov2 ci sta esponendo a un duplice rischio: non si tratta soltanto dell’eventualità di contrarre il virus, ma anche di sviluppare malessere psicologico a causa della contingenza. In particolare, disturbi psichiatrici, ansia, insonnia, depressione stanno affliggendo non solo chi è venuto a contatto con la malattia ma anche coloro i quali, a causa del Covid, hanno vissuto la scomparsa dei propri cari, hanno perso il lavoro o subito gravi danni economici. A sottolinearlo sono stati anche gli esperti riunitisi in occasione del recente Congresso Nazionale della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia, presieduto dal professor Claudio Mencacci.

“Le condizioni sanitarie, economiche, sociali che si sono create a seguito della pandemia di Covid-19 hanno portato a una vera sindemia: alla malattia connessa all’infezione si è aggiunto un impatto enorme sul benessere psichico di tutta la popolazione, sia di chi è venuto a contatto col virus in maniera diretta, sia di chi non è stato contagiato ma vive sulla sua pelle le conseguenze della crisi in corso”, ha spiegato Mencacci, co-presidente della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia e direttore del Dipartimento Neuroscienze e Salute Mentale ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano.

I dati parlano chiaro. Il professor Claudio Mencacci sottolinea che “in chi è venuto a contatto col virus la probabilità di disagio mentale è più elevata, con un’incidenza di sintomi depressivi che cresce dal 6 al 32%; fino al 10% di chi ha perso un proprio caro per il Covid-19 andrà incontro a un lutto complicato che si protrarrà oltre 12 mesi, anche a causa delle regole di contenimento del contagio che hanno impedito a molti di poter elaborare il dolore, rivedendo un’ultima volta il congiunto per l’estremo saluto”

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