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Una epidemia chiamata depressione

17 Ottobre 2017

di Serena Mingolla
La depressione continua a crescere scalando velocemente la lista delle cause di cattiva salute nel mondo. Il dato più allarmante è legato al suo effetto biunivoco: aumenta il rischio di malattie cardiovascolari, diabete, patologie urologiche, oncologiche, pneumologiche e neurologiche, in quanto anticipa e peggiora il decadimento cognitivo; contemporaneamente, chi già soffre di queste patologie è più esposto al rischio di soffrire anche di depressione. Ne parliamo con Claudio Mencacci, Direttore Dipartimento Salute mentale e Neuroscienze ASST Fatebenefratelli Sacco.

La depressione c’è sempre stata o è un male dei nostri giorni?
La depressione è una condizione umana che c’è sempre stata, come testimoniano numerosi testi storici, da quelli religiosi a quelli filosofici. Quello a cui stiamo assistendo oggi è che, progressivamente, la depressione è diventata la patologia a più ampio impatto di disabilità anche rispetto ad altre patologie gravi come quelle cardiologiche o infettive.
Il tema della depressione unipolare è diventato talmente epidemico da fare istituire una Giornata Mondiale dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, il 7 aprile 2017, durante la quale sono stati diffusi per la prima volta i dati (a ribasso) sulle 320 milioni di persone affette nel mondo e sul loro aumento di oltre il 18% nell’arco di un decennio; aumento che vede un picco tra gli anziani e ancor più tra le donne, ma anche tra bambini e adolescenti con età inferiore ai 15 anni. Si tratta di una malattia che riguarda trasversalmente tutte le fasce di età, nessuna esclusa.

Le cause della depressione sono scritte nel nostro DNA? Sicuramente la depressione è scritta nel DNA. Nelle forme di depressione unipolare la componente genetica e familiare rappresenta una importante quota di vulnerabilità; probabilmente si tratta di gruppi di geni che sono più sensibili e vulnerabili. Poi naturalmente sono importanti anche le condizioni ambientali.
Perché le donne vengono colpite in misura maggiore? Il rapporto tra il numero di donne e di uomini che soffrono di depressione è di 2 donne ogni uomo, in alcuni studi anche tre ad uno. Questa diversa condizione è segnata prima di tutto dall’andamento ormonale: la depressione prima del menarca femminile è assolutamente identica nei bambini maschi e femmine; con il menarca inizia ad aprirsi una forbice che si mantiene per tutta la vita, anche dopo il climaterio. Nei cicli della vita della donna vanno considerate tutte le interazioni che ci sono tra estroprogestinici, tiroide, ormoni coinvolti nella risposta allo stress. Sono importanti anche fattori di carattere comunicativo: le donne sono più propense a manifestare i loro sintomi e hanno più comportamenti di ricerca di aiuto e di cura; e infine non dimentichiamo i fattori ambientali legati alle varie forme di abuso, di violenza, il maggiore carico di lavoro e di cura della famiglia.

L’aspetto della comorbidità tra depressione e altre patologie è stato messo in luce solo di recente…
Per una questione prevalentemente di cultura medica la comorbidità tra patologie e depressione è una condizione frequentemente non riconosciuta e non trattata. Questo purtroppo genera non solo una scarsa qualità della vita, uno scarso miglioramento, una ridotta adesione alle prescrizioni mediche ma soprattutto un aumento della mortalità. In numerose situazioni come quelle oncologiche o reumatologiche è in gioco non solo la qualità di vita ma anche la quantità di vita, con il rischio molto più alto di avere una mortalità non per cause psicologiche ma per la reazione che l’organismo ha in condizioni di depressione. Si tratta di una malattia sistemica in contemporanea ad altre patologie. Nel caso delle patologie reumatiche abbiamo la presenza di due patologie infiammatorie con quello che questo può comportare.
Se si pensa di essere depresso, è importante la tempestività con cui si interviene? Possiamo parlare di diagnosi precoce anche in questo settore? Assolutamente sì. Via via che i sintomi della depressione crescono, a quelli più riconoscibili ed evidenti come il cattivo umore, la perdita del piacere, del sonno, l’isolamento, si associano i sintomi che facciamo più fatica a riconoscere che sono quelli cognitivi, come frequenti procrastinazione, perdita della attenzione, della memoria, difficoltà di concentrazione. Questo processo fa leggere qualunque accadimento della propria realtà interna ed esterna in senso negativo con importanti risvolti anche per quanto riguarda l’adesione alle cure e l’andamento della propria patologia.

Al di là dei percorsi diagnostici e farmacologici, quale aspetto è importante considerare quando si è affetto da depressione? L’attività fisica è al primo posto. Ci sono numerosi studi, come quelli che riguardano per esempio la Fibromialgia, che illustrano la relazione tra gravità di depressione e la inattività fisica, come anche il ridursi della depressione man mano che il paziente riesce ad orientare la propria vita verso una maggiore attività. Apprendere di avere una patologia cronica, che quindi non passerà mai, può far cadere nello sconforto?
Sicuramente la qualità di vita nei pazienti reumatologici è tra le più colpite. Tra i tre campioni dell’indagine Onda (pazienti reumatologici, oncologici, diabetici) sono proprio i più segnati soprattutto dalle forme dolorose e dalla riduzione progressiva della mobilità e dell’autonomia. Si tratta di effetti importanti che possono compromettere l’autostima e la vita sociale delle persone, così come la loro vita di coppia, relazionale, familiare. La prevalenza della depressione nell’area delle patologie  reumatiche deriva proprio dalla forma cronica di queste patologie che riduce la mobilità. È importante quindi riuscire a farsi forza e rimanere attivi il più possibile.
Qual è l’atteggiamento giusto da parte dei familiari e dei caregiver per non cadere a propria volta in uno stato di depressione? Il caregiver deve essere in grado di tenersi una parte di vita per se stesso che sia funzionale alla sua sopravvivenza. La depressione è contagiosa perché genera isolamento sociale. Per questo, mantenere del tempo per sé, degli stimoli e degli interessi, è indispensabile. Si tratta di un fattore molto importante che deve essere affrontato dal punto di visto sanitario ma anche dal punto di vista sociale. È indispensabile creare attorno ai caregiver quella rete sociale di solidarietà e di sostegno che non li faccia sentire soli e che consenta loro di mantenere una vita sociale e relazionale al di là della persona assistita. In questo senso le Associazioni dei pazienti fanno tantissimo.

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