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Un lavoratore su 5 soffre di “stress da lavoro”, le donne di più

7 Ottobre 2017

Ecco i dati diffusi dalla Società italiana di psichiatria in previsione della Giornata mondiale della Salute Mentale, che si svolgerà il 10 ottobre

«Non può più essere il caso a determinare se una persona con disturbi mentali possa essere curata oppure possa avere diritto all’inserimento nel mondo del lavoro».

Alla vigilia della Giornata Mondiale della Salute Mentale, che si celebra il prossimo 10 ottobre, la presidente della Commissione Sanità del Senato esprime senza giri di parole una dato di realtà che in Italia viene affrontato ancora poco: l’integrazione lavorativa delle persone che presentano disagi psichici.

Nel nostro Paese, su 28 milioni di lavoratori, 6 milioni, ovvero uno su cinque, soffrono di disturbi legati allo stress da lavoro. Le più colpite sono soprattutto le donne, oltre 3 milioni e 200mila, di cui un milione circa presenta in maniera clinicamente rilevante disturbi d’ansia, insonnia e depressione. Le restanti due milioni e 200mila donne manifestano gli stessi problemi ma a livello transitorio. Le cause principali sono legate alle forti pressioni lavorative, alle barriere culturali, alle remunerazioni e al difficile clima aziendale.

Malattie mentali: tra le prime cinque cause di morte nel mondo

«Dovremo affrontare sempre di più la cronicità delle malattie mentali, dato l’invecchiamento della popolazione», dice la senatrice De Biasi intervenuta all’incontro organizzato il 6 ottobre dal Fatebenefratelli. «E l’ospedale non può essere la soluzione. C’è bisogno della presa in carico del territorio».

Il motivo è semplice e preoccupante. Le malattie mentali sono tra le prime cinque cause di morte nel mondo, insieme alle patologie cardiovascolari, a quelle respiratorie, ai tumori e al diabete.

«Il 38% degli europei presenta un disagio psichico, spesso correlato anche da un decadimento cognitivo», spiega il direttore del dipartimento di Neuroscienze e Salute Mentale dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano. «E la ricaduta sociale ed economica sul Pil è molto forte. In Italia si stima sia tra il 3 e il 4%. In più bisogna considerare che solo un quarto dei soggetti malati viene trattato mentre due terzi delle persone affette da depressione non vengono curate».

L’integrazione sul piano lavorativo è fondamentale. «Appena si parla di problemi mentali non solo cala il pregiudizio ma soprattutto il silenzio», aggiunge il dottore Mencacci.

Il 75% di chi presenta nella vita problemi psichici ha meno di 24 anni

Gli effetti più evidenti di un disturbo mentale nel campo del lavoro sono l’assenteismo, gli infortuni, le malattie, il calo dell’attenzione e il presentismo, ovvero il fatto di essere fisicamente al lavoro ma di non essere in grado di essere produttivi. Un dato di cui bisogna tener particolare conto è che il 75% di chi presenta problemi psichici ha meno di 24 anni mentre metà degli individui di qualunque età presenterà un disturbo mentale nel corso della vita, quindi è fondamentale garantire a queste persone la formazione e l’accesso al mondo del lavoro.

«Una rete nazionale è quello cui miriamo», commentano la senatrice De Biasi e il professor Mencacci. «Non bastano le buone pratiche del territorio lombardo».

20 anni di Ala, un esempio di inserimento lavorativo per tutti

Dal 1997 l’Ospedale Fatebenefratelli è impegnato nel progetto Ala, Agenzia Lavoro e Apprendimento, un servizio rivolto ai pazienti del dipartimento di Salute Mentale del Fatebenefratelli per garantire loro l’inserimento nel mondo del lavoro. Dal 2012 a giugno 2017 sono stati 810 i pazienti presi in carico, 501 uomini e 309 donne, per lo più tra i 25 e i 54 anni.

«Ai più giovani offriamo un aiuto diverso, di tipo formativo», spiega il referente del progetto Camillo Caputo. «Perché il problema per gli under 24 è il raggiungimento della laurea. Il 65% di loro ha solo la terza media».

Degli 810 pazienti adulti del Fatebenefratelli, il 40% presenta patologie gravi, come schizofrenia o deliri, mentre il restante 60% manifesta depressione, ansia e disturbi della personalità. Per il 55% di loro c’è stato un percorso di formazione, per gli altri un tirocinio. Il 20% ha ottenuto un impiego e solo il 2% degli assunti è stato ricoverato per uno scompenso. «Spesso il lavoro aiuta ma non è l’unica risposta al problema mentale», conclude il direttore socio-sanitario Gemma Laicata. «È la conciliazione vita-professione la vera soluzione».

Da La Stampa

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