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Sei milioni di italiani stressati dal lavoro

6 Ottobre 2017

Malessere diffuso, dolori muscolari, ansia, difese immunitarie ai minimi, sonno disturbato. Sono i sintomi di una ‘malattia’ che non ha un capitolo dedicato nelle enciclopedie di medicina: si chiama stress da lavoro. A sperimentarlo sono 6 milioni di italiani: su oltre 28 milioni di lavoratori, uno su 5 sa cosa vuol dire. Impegni che si moltiplicano, ore di straordinario che si accumulano, corse contro il tempo, ambienti e organizzazioni aziendali non a misura di persona. E pur essendo uomini circa il 60% del totale degli occupati, in tema di stress correlato al lavoro il rapporto tra i generi si ribalta.

Oltre 3,2 milioni sono le lavoratrici con problematiche di questo tipo e disagi psichici. Di queste, circa 1 milione soffrono di una condizione clinicamente rilevante e meritevole di attenzione specialistica: 500 mila per disturbi d’ansia, 230 mila di insonnia, 220 mila di depressione, 2,2 milioni presentano disturbi transitori di ansia, irritabilità, facilità al pianto, deficit di concentrazione, disturbi del sonno. Sintomi riconducibili a un adattamento non efficace allo stress. E’ il quadro tracciato oggi dagli esperti a Milano, durante un incontro all’ospedale Fatebenefratelli, promosso in occasione della Giornata mondiale della Salute mentale in programma martedì 10 ottobre.

Sul tema di quest’anno – la salute mentale sul posto di lavoro – gli psichiatri lanciano un appello alle aziende per un cambio di policy: troppo poca è ancora l’attenzione alla salute psichica dei dipendenti, troppo poche o incuranti delle ‘variabili di genere’ le azioni di tutela contro i fattori di stress in ambito lavorativo, nonostante i moniti arrivati anche dal Governo sul tema. A preoccupare è in particolare il problema declinato al femminile. “La difficoltà di mettere insieme prospettive di carriera con la condizione di essere ‘caregiver’ o madri, avere sulle spalle la gestione della famiglia e quant’altro incombe nella vita delle donne lavoratrici, le espone molto di più”, denuncia Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento salute mentale dell’Asst Fatebenfratelli Sacco.

Ci sono – elencano gli esperti – le forti pressioni e le barriere culturali che rendono la carriera manageriale di una donna più difficoltosa e impegnativa, le remunerazioni non in linea con quelle dei colleghi uomini, la tendenza a scivolare nel precariato e la maggiore esposizione ad azioni discriminatorie e molestie. Aspetti che magari vanno ad aggravare una situazione già complicata per un clima aziendale difficile e carico di competitività.

E’ una condizione, prosegue Mencacci, “verso la quale noi chiediamo sportelli di ascolto, chiediamo strumenti di informazione e supporto e soprattutto di condivisione. Il messaggio deve essere chiaro: non si può tenere nascosto questo tipo di disagio e di sofferenza perché su di esso cala e grava un senso di vergogna e la paura di poterlo dichiarare senza subire conseguenze”.

Il fenomeno dello stress da lavoro non è solo italiano: coinvolge e affligge tutta la popolazione europea, con punte del 60% e ripercussioni sullo stato di salute e anche sul piano professionale. “E’ un problema che si traduce in giornate di lavoro perse, ma anche in un altro fenomeno – osserva lo specialista – che è il presenteismo, cioè andare comunque al lavoro, ma non essere produttivi, attivi, partecipativi. Si stima un impatto della malattia mentale sul Pil europeo pari al 3-4%”. Ma, aggiunge Giancarlo Cerveri, referente territorio Unità operativa di Psichiatria 1, “alcune indagini segnalano un dato ancora più alto, fino al 4,9% del Pil. Basti pensare che solo per la depressione, patologia che risulta tra le più invalidanti, il 10% degli impiegati e assunti perde giornate di lavoro. In media chi ne soffre sta a casa 36 giorni”. La metà di chi fa i conti con il ‘mal di vivere’ “non riceve diagnosi e trattamento, il 94% ha problematiche di tipo cognitivo”.

Per capire la portata del problema e “l’importanza di affrontarlo, si possono guardare i dati italiani – suggerisce Mencacci – 8 milioni sono le persone che convivono con disturbi d’ansia, 4 milioni con insonnia, altri 4 milioni con depressione unipolare“. Le aree considerate ‘locomotiva d’Italia’ – la Lombardia e Milano che vanta i più alti tassi di occupazione – sono anche quelle più martoriate dal problema dello stress sul lavoro. In questa regione “poco meno di un milione sono i lavoratori che sperimentano il problema. La condizione metropolitana, in particolare, espone a dei ritmi sicuramente più frenetici. E anche qui le donne pagano il prezzo più alto”.

Le più giovani e quelle che lavorano a contatto con il pubblico – rilevano gli esperti – sono più vulnerabili agli stati di ansia, mentre le sindromi depressive sono più tipiche dell’uomo adulto con mansioni esecutive. “Secondo dati recenti, il 43% dei manager ritengono ci sia necessità di policy diverse in ambito lavorativo per trattare la salute mentale – evidenzia Cerveri – Il problema è della collettività e va affrontato, anche perché i costi sono notevoli e in crescita. Dalla Germania arriva un dato preoccupante: il contributo della patologia mentale alle pensioni per disabilità permanente è triplicato nel corso degli ultimi 20 anni. E’ un problema per qualunque Paese”.

Fondamentali – dicono gli specialisti – le azioni di prevenzione collettiva, il counselling, il problem solving, le attività di promozione della salute all’interno delle imprese e nei luoghi di lavoro in generale, le misure di conciliazione vita-lavoro, la capacità di riconoscere le peculiarità cognitive ed emotive che rendono uomini e donne diversi. “L’ambiente lavorativo va riformulato in una nuova ottica – conclude Mencacci – Un punto di vista che sia finalmente capace di contenere e realizzare appieno il tesoro della diversità tra uomini e donne, invertendo il corso di questa strada finora davvero in salita”.

Da ADN Kronos

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