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La depressione fa perdere il 25% delle giornate di lavoro bruciando ogni anno un 1 trilione di dollari.

6 Ottobre 2017

In Italia 6milioni accusano stress da lavoro, più colpite le donne.

Il bilancio lo fa la Società italiana di psichiatria in occasione della prossima giornata mondiale dell’Oms dedicata alla salute mentale. Uno dei punti dolenti, che sarà proprio oggetto della Giornata 2017, sono le ricadute delle malattie mentali nel mondo del lavoro. In Italia si stimano in 10 milioni coloro che soffrono di disturbi depressivi e/o ansiosi lungo l’arco della loro vita. E circa 6 milioni di italiani soffrono di stress da lavoro, con prevalenza di donne

Il 25% del totale delle giornate di lavoro perse è legato alla depressione, dal 25% al 50% delle persone depresse manifestano un evidente calo di produttività lavorativa.

Sono gli ultimi dati che emergono da studi recenti e fatti propri dall’Oms per fare il punto sul tema chiave della giornata mondiale della salute mentale, che si svolgerà il 10 ottobre sul tema “Mental Health in the Workplace”.

Era già dimostrato che l’assenza di lavoro e il precariato sono associati a un maggior rischio di depressione, ma diversi studi attestano anche che alcune situazioni negative in ambito lavorativo hanno un impatto significativo sulla salute mentale dei lavoratori. Ad esempio risulta come fenomeni di “bullismo” siano frequenti fra persone affette da depressione, e che nel 30% dei casi il bullismo era antecedente all’esordio della depressione, indicando una correlazione con le problematiche relazionali in ambito lavorativo.

Anche la depressione in senso generale non sembra lasciare scampo a questo tempo e alle nuove generazioni: i dati internazionali e nazionali ci dicono che I disturbi depressivi e d’ansia sono i più comuni e diffusi disturbi mentali. Si stima che nel mondo, oltre 300 milioni di persone soffrano di depressione, e più di 260 milioni manifestino disturbi d’ansia. In Europa soffrono di depressione circa 40 milioni di cittadini, mentre in Italia sono circa 10 milioni coloro che soffrono di disturbi depressivi e/o ansiosi lungo l’arco della loro vita. La proporzione di Italiani che in un anno soffre di sindromi depressive è pari circa il 5% della popolazione adulta, vale a dire più o meno 3 milioni di persone.
Ancora, per dare le dimensioni del fenomeno focalizzando il problema di più sulle donne, su oltre 28 milioni di lavoratori circa 6 milioni di italiani 1 su 5 soffrono di stress da lavoro, con prevalenza di donne.

Se si considera che del totale degli occupati gli uomini rappresentano circa il 60%, in tema di stress correlato al lavoro il rapporto tra i generi si ribalta. Oltre 3 milioni e 200 mila sono le donne lavoratrici con problematiche stress correlate e disagi psichici. Di queste circa 1 milione soffrono di una condizione clinicamente rilevante e meritevole di una attenzione specialistica 500 per disturbi d’ansia, 230 mila di insonnia e 220 mila depressione, le restanti (2 milioni 200mila) presentano transitori disturbi di ansia, irritabilità facilità al pianto deficit di concentrazione, disturbi del sonno).

Si tratta di sintomi riconducibili a un adattamento non efficace allo stress. Tra i fattori determinanti: le forti pressioni lavorative, le barriere culturali che rendono la carriera manageriale della donna più difficoltosa e impegnativa, le remunerazioni non in linea con le medesime posizioni ricoperte dai colleghi, la competitività, i rapporti interpersonali e il difficile clima aziendale a cui si sommano le responsabilità, ma soprattutto gli incarichi legati alla vita quotidiana e il ruolo di ‘care giver’ all’interno della famiglia. Più vulnerabili agli stati di ansia le donne giovani – complici anche le alterazioni ormonali nelle diverse fasi riproduttive (gravidanza, puerperio) – e quelle che lavorano a contatto con il pubblico, ed in percentuale minore a sindromi depressive più tipiche, invece, dell’uomo adulto con mansioni esecutive.

La Società Italiana di Psichiatria (Sip) ha recentemente promosso, sotto l’egida della XII Commissione del Senato della Repubblica, una indagine conoscitiva sulla depressione, quale tema importantissimo, sebbene spesso sottovalutato, che riguarda milioni di persone, finalizzata a individuare capire quali possano essere i suggerimenti di indirizzo che il Parlamento può dare al Governo in merito a questo tema, ma anche riportare nel dibattito pubblico un problema che interessa moltissime persone, e che viene spesso misconosciuto.

“Sono dati che spaventano – spiega il presidente della Sip, Bernardo Carpiniello, direttore della  Clinica Psichiatrica della Azienda Ospedaliero-Universitaria e Professore di Psichiatria all’Università degli Studi di Cagliari – perché Il lavoro, che per anni è stato fonte di reddito, di prospettive familiari e di realizzazione di sogni, insomma di felicità, diventa oggi, nelle forme attuali (velocità, reattività, interazione immediata, costante sottoposizione a valutazioni personali) causa di problemi e di patologie mentali. Con costi sociali umani altissimi”.

“La depressione è, già oggi – spiega Carpiniello – la seconda malattia invalidante al mondo e si stima che nel 2030 sarà sul gradino più alto di questo non invidiabile podio, con altissimi costi sociali e un forte impatto economico. Un recente studio condotto dall’Oms stima che depressione e ansia costino in termini di economia globale circa 1 trilione di dollari ogni anno. La depressione in particolare ha un impatto pesantissimo sulla nostra capacità lavorativa e sulla produttività. Essa è infatti la prima causa di giornate perse fra tutte le patologie, oltre che tra le principali cause di calo della produttività sul lavoro”.

La Sip, secondo Carpiniello,  ritiene fondamentale costituire una vera e propria rete per combattere la depressione, promuovendo validi percorsi diagnostici e terapeutici in collaborazione con la medicina generale, la pediatria, la scuola, gli ambienti di lavoro: per avvicinare le persone alle cure occorre combattere la disinformazione e lo stigma.

Per quanto riguarda il problema legato alle donne, invece, l’Asst Fatebenefratelli Sacco di Milano “sta lavorando attivamente con progetto mirati sul tema conciliazione vita-lavoro – ha spiegato  Gemma Lacaita, Direttore Socio Sanitario dell’azienda – soprattutto rispetto al reinserimento delle lavoratrici che rientrano dalla maternità, ma non solo. Uno spazio allattamento dedicato alle neo-mamme, nidi aziendali con tariffe agevolare, corsi di yoga e yoga della risata per i dipendenti, solo per fare alcuni esempi di progetti già realizzati grazie al lavoro di gruppi multidisciplinari dedicati.”

Nelle aziende non ci si cura delle “variabili di genere”, sottolinea l’analisi dell’Asst che tuttavia ricorda come lo stress correlato al lavoro coinvolge ed affligge tutta la popolazione europea, con punte del 60% e importanti ripercussioni sullo stato di salute. Condizioni che hanno importanti ripercussioni non solo sullo stato dell’umore ed emotivo, ma anche sul piano professionale con il maggior numero di giorni lavorativi persi, specie per la donna.

I costi di questa problematica sono stati stimati in Europa nell’ordine dell’1% del Pil e quindi risultano fondamentali le azioni di prevenzione collettiva, counselling, problem solving e le attività di promozione della salute all’interno delle imprese e nei luoghi di lavoro in generale.

“Tutto questo ha un effetto pesantissimo – ha sottolineato Claudio Mencacci, Direttore del Dipartimento Salute Mentale ASST Fatebenefratelli Sacco – poco conta che lo si definisca frustrazione o demotivazione, ansia o depressione, esaurimento. Quale che sia la denominazione impiegata, questo disagio radicato che tende a sfociare nel clinico solleva una questione urgente. Che l’ambiente lavorativo va riformulato in una nuova ottica. Un punto di vista che sia finalmente capace di contenere e realizzare appieno il tesoro della diversità tra uomini e donne, invertendo il corso di questa strada finora davvero in salita”.

L’ASST Fatebenefratelli ha presentato anche alcuni dati.  Dal 2012 è stato possibile rilevare su tutto il territorio milanese le azioni partecipate e sovrazonali rivolte ai candidati in carico ai servizi sanitari. I dati raccolti hanno coinvolto 810 pazienti con disagio psichico.
1.     Le diagnosi prevalenti sono di “Schizofrenia” o di “Sindrome Schizotipica o Delirante” nel 40% dei casi, di “Disturbi di personalità” nel 26%, di “Sindromi Depressive e dell’Umore” nel 22%.
2.     Il 55% di questi ha usufruito di almeno una formazione e il 39% di questi di un tirocinio extra-curriculare
3.     Il 20% ha trovato lavoro.
4.     I contratti nella maggior parte dei casi sono di collaborazione di 12 mesi, rinnovati di anno in anno;
5.     In media il tempo di assunzione per le persone tra i 25 e i 64 anni è di 15,9 mesi, mentre per i più giovani (16-24) è di 21,9 mesi;
6.     Solo il 2% delle persone assunte ha avuto durante il supporto del servizio un ricovero per scompenso.

“In prospettiva – concludono i responsabili della struttura – sarà necessario individuare strumenti di raccolta di dati che permettano di valutare il costo di una mancata inclusione sociale”.

 

Da Quotidiano Sanità

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