/ Rassegna Stampa

Malattie, i maschi hanno (più) paura? 

8 Agosto 2017

Maria Luisa Agnese e Luigi Ripamonti

Per anni il principe Harry d’Inghilterra non ha parlato di lei: «A lungo mi sono detto che non c’era motivo di tornare sul passato, che era un esercizio che avrebbe portato solo tristezza». Poi ha cominciato la sua lunga confessione pubblica nel mese di aprile, tornando poi a più riprese sulla fatale depressione seguita alle difficoltà che aveva avuto da bambino per la morte della madre: sicuramente meno clamorosa e urticante per le sorti della monarchia inglese di quella intervista del 1995 in cui Diana aveva raccontato molto dei suoi dolori. Ma parecchio significativa del cambiamento che sta toccando i giovani maschi più o meno alfa del pianeta e del loro atteggiamento nei confronti della malattia, del loro disagio psicologico e in generale della capacità di prendersi cura di sé.

Atavicamente meno attrezzati su questo fronte delle donne gli uomini sono incapaci di affrontare la prevenzione, terrorizzati all’idea del male, del degrado fisico, della malattia, di prendersi cura davvero del proprio corpo non solo dal punto di vista estetico: e difatti vanno dal medico molto meno delle compagne, 9 uomini su 10, ed entrano in farmacia 4 volte l’anno contro le 18 delle donne. Lo dice una ricerca inglese ma è un dato che accomuna tutto il mondo occidentale. Da soli non sanno prendersi cura di sé, hanno bisogno dell’aiuto della compagna: «Ogni uomo, quando è ammalato, ha bisogno della mamma; se la mamma non è disponibile, altre donne devono sostituirla» scrive Philip Roth nella Lezione di anatomia.

Perché sono così restii a riconoscere la malattia e a chiedere aiuto? Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di Neuroscienze all’ospedale Fatebenefratelli-Sacco, di Milano, chiama ancora in causa il grande scrittore americano e suggerisce di ripartire questa volta dal Teatro di Sabbath, grande affresco sull’impotenza e la vecchiaia, per andare all’origine del meccanismo della grande rimozione maschile: “Si è giovani una volta sola ma si può essere immaturi per sempre”. «È questa immaturità che dà un forte contributo alla Negazione della malattia. È questa sorte di immagine interna per cui tutto ciò che evoca potenzialmente il pensiero della morte è qualcosa che va evitato» dice Mencacci e ricorda che nel Sud Italia si dice che si è “grandi” dopo i 70 anni, frase che rende bene l’idea. «Si pensava che lo sviluppo della specie avrebbe lasciato il segno, e invece da tanti comportamenti si vede che l’uomo ha ancora scarso senso di responsabilizzazione nei rapporti affettivi e nei confronti della prole. C’è ansietà, ma non capacità di prendersi cura» continua Mencacci, che è anche presidente del Comitato scientifico Onda, osservatorio nazionale sulla salute delle donne. E si augura che una medicina di genere venga estesa presto anche all’uomo e alle patologie legate all’andropausa. Tanto più che è recentissima la scoperta che su 26 mila geni totali, 6500 sono differenti fra uomo e donna, un quarto decisivo e su cui c’è ancora molto da scoprire. «Si studia tanto il climaterio della donna, per esempio, molto meno i cicli vitali dell’uomo. O lo si fa solo da un punto di vista prestazionale, non indagando il rapporto che c’è fra disturbi metabolici, testosterone e sviluppo di patologie cardiovascolari».
È vero che qualche passo avanti, nell’attenzione al proprio corpo, gli uomini lo hanno fatto, incoraggiati dal codice narcisista dominante, e plasmati da uno sguardo femminile che non li vuole certo trasandati. Secondo la ricerca realizzata per il Corriere da Eikon Strategic Consulting, con il contributo non condizionante di Ibsa farmaceutici Italia, in vista del Tempo delle Donne 2017 dedicato proprio all’evoluzione Maschile, l’uomo si cura più di un tempo anche se non è ossessionato da creme e cremine: il 28 per cento conferma di curare la barba, ma solo il 10 per cento dice di usare maschere di bellezza. In compenso più della metà si preoccupa di stare in forma, e ormai più che dalla pancetta è ossessionato dai suoi muscoli: il 26 per cento, percentuale che sale a 42 fra i giovanissimi (18-22 anni), i cosiddetti Post-Millennial.

I corpi fluidi virano verso virilità leggere, mascolinità plurali con più possibilità di espressione, come ha sottolineato la sociologa Elisabetta Ruspini, autrice di Maschi alfa, beta, omega. Una svolta che però, per ora, rimane ferma al lato estetico. «E per questo dico che gli uomini dovrebbero imparare dalle donne la cura di sé, la cura dell’altro, l’accoglienza, in una parola la civiltà: è questo il vero passaggio evolutivo, riconoscendo i propri e altrui orientamenti ci si può scoprire più vicini di quello che pensiamo, in fondo un quarto ci divide ma tre quarti ci uniscono» è l’auspicio di Mencacci.

Ma, nel frattempo, gli uomini non riescono neppure ad assimilare che la salute e la prevenzione fanno parte della qualità della vita e vanno considerate beni primari, non di lusso. Una volta c’era la naja che faceva da screening di massa, specie in campo cardiologico e urologico. «Era in quell’occasione che molti 18enni scoprivano, per esempio, di avere un varicocele, oppure altri problemi alla sfera genitale.
«Per molti quella visita è stata fondamentale per correggere anomalie o disturbi che avrebbero potuto compromettere una vita sessuale e riproduttiva soddisfacente – conferma Francesco Montorsi, direttore del reparto di Urologia dell’ospedale San Raffaele di Milano -. Questo appuntamento è stato abolito 13 anni fa e, visto che ora l’età media in cui si desidera avere figli si è spostata più avanti, gli effetti sulla fertilità dell’abolizione di questo “screening di massa” cominceremo a vederli a partire da adesso».

«Il quadro della prevenzione e della cura dei problemi di salute maschili è comunque molto cambiato negli ultimi decenni» prosegue lo specialista . «Oggi è difficile che non vengano individuati e corretti tempestivamente i principali problemi che si possono riscontare alla nascita o nella prima età pediatrica, come malformazioni dell’apparato genitale o mancata discesa dei testicoli nello scroto, che può condizionare non soltanto la possibilità riproduttiva ma anche esporre a un maggiore rischio di tumori ai testicoli».

Questo in parte vicaria l’assenza della visita di leva, spesso prima e unica circostanza in cui questi problemi venivano scoperti. Ma non tutto può essere prevenuto così presto.«Infatti l’altro mutamento epocale riguarda gli adolescenti per i quali si è creata una situazione totalmente nuova» puntualizza Montorsi. «È del tutto comprensibile che un ragazzo abbia difficoltà a parlare di eventuali angosce relative alla propria sfera sessuale e in questo caso Internet è una grande risorsa, perché il facilissimo e “privato” accesso alle informazioni può convincere il giovanissimo della necessità di aprirsi e chiedere aiuto ai genitori e al medico di famiglia, il quale rimane un ottimo punto di partenza prima dell’eventuale ricorso a un eventuale specialista. Ovviamente il rischio è imbattersi in informazioni sbagliate, che talvolta possono essere pericolosamente fuorvianti».

 

Da Corriere.it

elenco Rassegna Stampa