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Schizofrenia, arriva l’unica terapia da 4 volte l’anno

14 Aprile 2017

Psichiatri, più vantaggi per pazienti; 250mila i malati in Italia

Contro la Schizofrenia, disturbo mentale che in Italia colpisce circa 250mila persone ed in età sempre più giovane, arriva l’unica terapia ‘da 4 volte l’anno’, che promette di liberare il paziente dal pensiero di farmaci e ricadute, considerato che la terapia non va mai saltata per evitare nuovi episodi psicotici che possono anche comportare il ricovero. Delle nuove prospettive terapeutiche si è discusso a Firenze, in occasione del 25/mo Congresso dell’Associazione europea di psichiatria (Epa).     Di recente, affermano gli psichiatri, la cura delle psicosi è cambiata grazie all’avvento dei LAI (Long Acting Injectables) ovvero i farmaci a lunga durata d’azione iniettabili, che permettono intervalli di somministrazione più lunghi rispetto ai farmaci orali e grazie ai quali il paziente non è più condizionato dall’assunzione giornaliera della terapia.

Oggi “l’orizzonte dei pazienti schizofrenici si allarga ulteriormente con l’arrivo della terapia trimestrale di paliperidone palmitato“, spiega Andrea Fagiolini, psichiatra all’Università di Siena: “Una somministrazione limitata a sole 4 volte l’anno – sottolinea – è un vero ‘respiro di aria fresca’ per i pazienti e per gli stessi medici, sempre più liberi dal pensiero della terapia, della non aderenza e delle possibili ricadute. Con la nuova terapia trimestrale il periodo di durata farmacologica, infatti, triplica rispetto ai LAI già disponibili e moltiplica di almeno 90 volte rispetto alle terapie orali, aprendo in questomodo un’opportunità maggiore per recuperare le dinamiche sociali e ricostruire i legami affettivi. Il farmaco sarà prossimamente disponibile in Italia”. Proprio il reinserimento del paziente è la “direzione ideale verso cui rivolgere il percorso di cura – afferma Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di Psichiatria – e con questo obiettivo, un anno fa è stato lanciato in Italia il progetto Triathlon promosso dalle 4 principali Società scientifiche in psichiatria e Janssen, studiato per coinvolgere i pazienti che hanno bisogno di una rete che li accompagni in un percorso di lungo periodo, clinico ma anche sociale”

«Il recupero del paziente con schizofrenia è diventato nel corso degli ultimi anni un elemento sempre più importante per noi psichiatri e prima ancora per i pazienti», spiega Silvana Galderisi, Professore Ordinario di Psichiatria, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” e Presidente della European Psychiatric Association (EPA). «Nell’arco dell’ultimo decennio abbiamo fatto un percorso migliorativo di cura, che ha coinvolto medici, pazienti e familiari e che, da un approccio clinico in cui si affrontavano solo gli effetti devastanti delle fasi acute della malattia, ci ha condotto gradualmente alla situazione attuale in cui si cerca di perseguire il reinserimento della persona nel suo ambiente socio-familiare. L’integrazione passa attraverso molteplici fattori connessi tra loro ma tutti essenziali per il restituire un significato pieno alla vita del paziente: la resilienza, la consapevolezza sociale, la lotta contro lo stigma, le capacità funzionali. Naturalmente la stabilità delle condizioni cliniche del paziente è un fattore indispensabile per la continuità e la completezza dei percorsi di reinserimento. Pertanto la disponibilità di trattamenti farmacologici che migliorano l’aderenza alla cura rappresenta un importante tassello della strada per il recupero. I farmaci long-acting sono certamente un presidio importante in tal senso e uno schema di terapia che prevede 4 somministrazioni in un anno può essere gradito a molte persone, semplificare questo aspetto della cura e rispondere a svariate esigenze».

«Nel caso dei disturbi mentali gravi, il ruolo di caregiver è solitamente assunto da un familiare, ma anche dagli operatori psichiatrici, i quali svolgono un ruolo essenziale nel percorso di cura del paziente – spiega Andrea Fiorillo, Professore, Dipartimento di Psichiatria, Università della Campania “Luigi Vanvitelli” – i familiari, in relazione al ruolo di supporto e assistenza continua, riportano molto spesso di sentirsi “sovraccarichi”, di non avere tempo da dedicare ai propri hobby e ai propri interessi, e di sentirsi in colpa per la situazione del congiunto. La possibilità di utilizzare farmaci a rilascio prolungato, con una somministrazione di 4 volte l’anno, potrà avere un impatto positivo anche sui caregiver riducendo il carico familiare e, quindi, il rischio di conflitti e problemi, soprattutto per quanto riguarda l’impegno quotidiano nel dover ricordare l’assunzione della terapia».

Da DottNet

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