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Farmaci e Schizofrenia, arriva la terapia trimestrale

14 Aprile 2017

La grande aspirazione dei pazienti con schizofrenia e malattia psicotica è la libertà di organizzare il proprio tempo, di immaginare un futuro, di avviare nuovi progetti. Ma nella realtà quotidiana convivono soprattutto con il peso di una terapia da non saltare mai per evitare una ricaduta, un nuovo episodio psicotico che comporta il ricovero e fa crollare con un soffio il castello della vita faticosamente ricostruito. In anni recenti, però la cura delle psicosi è cambiata grazie all’avvento dei LAI – Long Acting Injectables, farmaci a lunga durata d’azione, che permettono intervalli di somministrazione più lunghi rispetto ai farmaci orali e grazie ai quali il paziente non è più condizionato dall’assunzione giornaliera della terapia.

«Oggi le prospettive e l’orizzonte dei pazienti si allargano significativamente con l’arrivo della prima terapia trimestrale di paliperidone palmitato – spiega Andrea Fagiolini Professore Ordinario di Psichiatria, Università degli Studi di Siena – con una somministrazione limitata a sole quattro volte l’anno, un vero e proprio “respiro di aria fresca” per i pazienti e per gli stessi medici, sempre più liberi dal pensiero della terapia, della non aderenza e delle possibili ricadute. Con la nuova terapia trimestrale il periodo libero dall’obbligo di assumere il farmaco antipsicotico triplica rispetto ai LAI già disponibili e moltiplica di ben 90 volte rispetto alle terapie orali, pur garantendo una capacità almeno equivalente nel mantenere il paziente libero da ricadute e aprendo in questo modo un’opportunità maggiore per programmare, recuperare le dinamiche sociali e ricostruire i legami affettivi».

Delle nuove prospettive e nuovi paradigmi della terapia delle psicosi si parla in questi giorni a Firenze in occasione del 25° Congresso della European Psychiatric Association, che riunisce nel capoluogo toscano specialisti di tutta Europa per discutere dei progressi della ricerca nel trattamento e nella gestione delle malattie psichiatriche, incentrato sul tema ‘Insieme per la salute mentale’.

Giovani e malattia mentale
A essere cambiati, in questi anni, non sono solo le strategie terapeutiche ma lo stesso volto della malattia psicotica, malattia sempre più giovane: diminuisce l’età media alla quale i pazienti arrivano dallo psichiatra, perché la patologia viene diagnosticata sempre più precocemente, indice in parte di una maggiore accettazione del concetto di malattia mentale da parte delle famiglie e della società, ma anche a causa di alcuni fattori esterni che ne anticipano l’esplosione: il consumo di sostanze stupefacenti in primis, ma anche il ritmo di vita frenetico, l’esposizione continua a stimoli diversi, il bombardamento mediatico, l’incitamento alla violenza, che aprono la porta ad una malattia probabilmente già presente, ma che in altre condizioni non necessariamente si sarebbe manifestata così precocemente.

«Per affrontare il percorso terapeutico di questi giovani pazienti – spiega Carlo Altamura, direttore Clinica Psichiatrica Università degli studi di Milano e Uo di Psichiatria Fondazione Irccs Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e presidente Società Italiana di Neuropsicofarmacologia (SINPF) – è fondamentale tener presente che una più lunga durata di malattia non trattata in soggetti schizofrenici è stata associata a una più lunga degenza ospedaliera, a più alti tassi di ospedalizzazione nel lungo periodo e a una più importante disabilità. Quindi è preferibile trattare la malattia prima possibile, evitando la degenerazione e il peggioramento. Uno studio retrospettivo con 21.492 pazienti affetti da schizofrenia, ha mostrato come la terapia di lungo periodo con i farmaci antipsicotici (non con benzodiazepine) sia associata a un minor tasso di mortalità generale e suicidio, rispetto a nessun trattamento».

La schizofrenia in Italia ha un impatto economico da 2,7 mld
Secondo le stime dell’Oms, più di 21 milioni di persone al mondo soffrono di schizofrenia; in Italia sono circa 300.000, secondo uno studio condotto con la collaborazione dell’Università di Tor Vergata. «Da tenere presente che le persone affette da schizofrenia -sottolinea Alberto Siracusano professore di Psichiatria, Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Direttore Uoc Psichiatria e Psicologia Clinica Fondazione Policlinico Tor Vergata – hanno una mortalità più del doppio rispetto alla popolazione generale. La schizofrenia nel nostro Paese ha un forte impatto economico: il costo totale generato da costi diretti e indiretti è pari a circa 2,7 miliardi di euro. Di questi circa il 50,5%, è costituito da costi indiretti, non direttamente imputabili alla patologia, mentre solo il restante 49,5% è generato da costi diretti, ovvero i costi di ospedalizzazione (compresa la residenzialità e l’assistenza domiciliare), della terapia farmacologica e degli altri trattamenti. È interessante notare che tra i costi diretti, il trattamento farmacologico pesa solo per il 10%, mentre l’80% circa è dato dai costi di ospedalizzazione, residenzialità e assistenza domiciliare».

La schizofrenia comporta un’enorme sofferenza: la distorsione della percezione compromette la capacità mentale e il senso di individualità della persona, la sua risposta affettiva e la capacità di riconoscere la realtà, di comunicare e di relazionarsi con gli altri. «La terapia trimestrale è un passo avanti non solo per la qualità di vita ma anche dal punto di vista clinico, perché l’aderenza al trattamento, favorita da una terapia di 4 somministrazioni all’anno, può diminuire il tasso di ricadute, come dimostrano gli studi clinici effettuati. E questo è vero soprattutto se il trattamento viene iniziato tempestivamente dopo la diagnosi», dichiara . «Ogni nuovo episodio psicotico infatti aumenta il rischio di episodi successivi e le ricadute rappresentano il problema principale nella gestione della malattia psicotica, verificandosi nella gran parte dei pazienti. Instaurare precocemente una terapia adeguata può migliorare la gestione della malattia e diminuire il tasso di ricadute: i sintomi della schizofrenia possono essere arginati fin dalla diagnosi grazie a terapie sempre più efficaci e maneggevoli come i LAI, che attualmente vengono utilizzati già all’inizio del percorso di trattamento per aumentare le chances di una vita normale per i pazienti».

Priorità al recupero e al reinserimento sociale del paziente
«Il recupero del paziente con schizofrenia è diventato nel corso degli ultimi anni un elemento sempre più importante per noi psichiatri e prima ancora per i pazienti», spiega Silvana Galderisi professore di Psichiatria, Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli e presidente della European Psychiatric Association (Epa). «Nell’arco dell’ultimo decennio abbiamo fatto un percorso migliorativo di cura, che ha coinvolto medici, pazienti e familiari e che, da un approccio clinico in cui si affrontavano solo gli effetti devastanti delle fasi acute della malattia, ci ha condotto gradualmente alla situazione attuale in cui si cerca di perseguire il reinserimento della persona nel suo ambiente socio-familiare. L’integrazione passa attraverso molteplici fattori connessi tra loro ma tutti essenziali per il restituire un significato pieno alla vita del paziente: la resilienza, la consapevolezza sociale, la lotta contro lo stigma, le capacità funzionali. Naturalmente la stabilità delle condizioni cliniche del paziente è un fattore indispensabile per la continuità e la completezza dei percorsi di reinserimento. Pertanto la disponibilità di trattamenti farmacologici che migliorano l’aderenza alla cura rappresenta un importante tassello della strada per il recupero. I farmaci long-acting sono certamente un presidio importante in tal senso e uno schema di terapia che prevede 4 somministrazioni in un anno può essere gradito a molte persone, semplificare questo aspetto della cura e rispondere a svariate esigenze».

«Il reinserimento del paziente è la direzione ideale verso cui rivolgere il percorso di cura delle malattie psicotiche – spiega Claudio Mencacci, Direttore del Dipartimento Neuroscienze e Salute Mentale, ASST Fatebenefratelli-Sacco, Milano e Presidente Società Italiana di Psichiatria (SIP) – e con questo obiettivo, un anno fa è stato lanciato in Italia il progetto Triathlon promosso dalle quattro principali Società scientifiche in Psichiatria, (SIP, SIPB, SINPF, SOPSI), Fondazione Progetto ITACA, ONDA, FITRI (Federazione Italiana Triathlon) e Janssen. Si tratta di un progetto innovativo studiato per coinvolgere quei pazienti, specialmente proprio i giovani, che hanno bisogno di una “rete” che li accompagni in un percorso di lungo periodo non solo clinico, ma anche sociale e cognitivo. Una rete che coinvolga, recuperi e riabiliti»

«La novità terapeutica presentata oggi è frutto di un impegno costante dell’azienda in ricerca e sviluppo, con l’obiettivo di offrire soluzioni che rendano la vita migliore al paziente. Non ci siamo mai fermati, da 60 anni a questa parte, nel perseguire un progressivo miglioramento che, passo dopo passo e anno dopo anno, porti a risultati concreti. L’area salute mentale ne è un chiaro esempio: nel punto da cui siamo partiti c’era una situazione in cui questi malati venivano isolati e rinchiusi in manicomi, ora siamo arrivati a parlare di una terapia di 4 volte l’anno. Janssen ha avuto un ruolo centrale in questa rivoluzione», ha commentato Massimo Scaccabarozzi, presidente e Ad Janssen Italia, azienda farmaceutica di Johnson & Johnson attiva da 60 anni nella psichiatria.

 

Da Il Sole 24 Ore

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