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Schedati e perseguitati: i malati psichiatrici ai tempi del fascismo

9 Marzo 2017

Gli esperti: "Sono molti i fattori che possono alimentare allarme sociale, economico e culturale, e trasformarsi in una patologia pericolosa"

La mostra inaugurata oggi al Complesso del Vittoriano, a Roma. Un'occasione per sottolineare gli errori del passato.

 

Schedati e perseguitati: i malati psichiatrici ai tempi del fascismo
 

 

 

SCHEDATI, controllati, privati della libertà e perseguitati. Vittime di soprusi. Ripercorre la storia di molte ‘vite dimenticate’ la mostra: ‘Schedati, perseguitati, annientati. Malati psichici e disabili durante nazionalsocialismo”. Un’esposizione portata in Italia dal Network Europeo per la psichiatria psicodinamica (Netforpp Europa) e che si inaugura domani al Complesso del Vittoriano.

Fotografie e storie. Attraverso fotografie, documenti d’archivio e inediti e ricostruzioni biografiche viene raccontata la violenza della quale furono vittime migliaia di pazienti durante la Seconda Guerra Mondiale. Un’occasione per gli psichiatri italiani per parlare dei rischi che portano razzismo e discriminazioni. Anche perché, mettono in guardia gli esperti, in tempi di crisi come il nostro la paura dell’altro può scatenare paranoie pericolose.

La paranoia. In Italia sono più di un milione le persone colpite, con segni più o meno evidenti, da paranoia. Un disturbo che secondo gli esperti è in crescita per colpa del disgregarsi della coesione sociale e della sensazione di allarme continuo in cui viviamo. Colpa della crisi economica e del terrorismo. Intolleranza, diffidenza e violenza si fanno sempre più forti sull’onda del diffondersi di un problema che non è il male, ma può provocarne molto: la paranoia collettiva. Amplificata potrebbe far emergere discriminazioni e violenza. Un ritorno a un passato pericoloso.

La tempesta perfetta. “Oggi come ieri, domani come allora. Una nuova ‘tempesta perfetta’ si addensa all’orizzonte perché viviamo tempi di incertezza e paura – spiega Claudio Mencacci, presidente Sip e direttore del progetto espositivo della mostra –. Il sentimento prevalente è una pervasiva sensazione di allarme di fronte a minacce vaghe, difficili da afferrare e combattere, che minano innanzitutto la coesione fra individui. Di fronte alla violenza che cresce i legami sociali si indeboliscono, aumentano isolamento e rifiuto del dialogo, ma anche diffidenza e sospetti: basta poco per percepire l’altro come nemico e la paura che si diffonde può diventare una risorsa per la demagogia, oltre che benzina per la paranoia”.

Il disturbo. Questo disturbo porta ad attribuire significati dove non ne esistono e a considerare pericolose persone o situazioni che non lo sono: tutto ciò in una percentuale limitata di casi diventa malattia.  “Il disturbo di personalità paranoideo – aggiunte Mencacci – riguarda un ampio bacino di cittadini particolarmente fragili di fronte a condizioni storiche particolari come le attuali, non troppo dissimili da quelle in cui, in passato, intere collettività sono state spinte da capi carismatici a individuare il pericolo in gruppi di soggetti identificati come l’origine dei problemi”.

L’altro come nemico. Ma che cosa succede quando scatta la paranoia? “Possiamo compiere qualunque azione contro il bersaglio perché viene meno il senso di colpa e qualsiasi possibilità di empatia, perché l’altro non è più un nostro simile ma il nemico, la causa delle nostre sofferenze – spiega ancora l’esperto – . La “follia lucida” della paranoia, che non sempre è un male, una patologia mentale in senso stretto, ma può diventarlo, certamente in ogni caso genera il male, nel corso della storia ha massacrato e annientato più uomini e donne delle epidemie di peste: è successo quando si è trasformata da personale a collettiva, sulla spinta di leader capaci di un linguaggio seducente, di incarnare il desiderio di rivincita e di richiamare all’orgoglio un popolo che si trova sull’orlo della protesta sociale, reso vulnerabile dalle condizioni economiche”.

Il clima sociale. La mostra del Vittoriano è stata presentata per la prima volta nel 2014 al Parlamento tedesco a Berlino, ed è stata portata in seguito a Londra, Vienna, Osaka, Citta’ del Capo e Toronto. Le immagini e i documenti fanno riemergere storie di violenza. “Il clima sociale disgregato attuale insinua violenza, aumenta l’aggressività dei singoli e la paranoia può così manifestarsi anche in soggetti normali. Oggi – spega ancora Mencacci – come alle soglie della Seconda Guerra Mondiale la paranoia si sta insinuando nella vita di molti popoli, anche in Europa e negli Stati Uniti, e con forme e toni diversi, in modo più subdolo, continua a fare la storia: la diffidenza, le accuse, la negazione del dialogo e la proiezione sistematica sull’altro della responsabilità dei programmi disattesi dimostrano che nel tessuto della nostra società ci sono venature paranoiche. E mentre Europa e Stati Uniti rimandano le cause di tutti i problemi a fattori sociali, economici, finanziari, migratori non ci si accorge che all’origine di tutto c’è sempre l’uomo, che dimentica di quali errori sia capace. Purtroppo bastano appena quattro generazioni perché tutto venga dimenticato, perché le posizioni razziste e stigmatizzanti prese 70 anni fa siano considerate lontane, irripetibili”.

I diritti dei pazienti. L’obiettivo è quello di tornara a una maggiore solidarietà sociale. E l’esposizione, che rimarrà aperta fino al 14 maggio, è uno spunto per tornare a parlare di diritti umani e della tutela dei pazienti psichiatrici. “La nostra mostra – spiega Bernardo Carpiniello, presidente eletto della Società Italiana di Psichiatria – può e deve essere un’occasione per meditare soprattutto sul presente, perché i segnali di una ‘febbre’ che sta salendo nel mondo ci sono tutti e credere che quanto è accaduto non possa tornare è un’illusione. Il senso di solidarietà sociale si è perso ed è forte il desiderio di un uomo solo al comando che possa scacciare le tante paure che oggi ci attanagliano. Ma tutto questo è un pericolo per le nostre società, perché dimentichiamo spesso quanto sia veloce il passaggio da una democrazia a una democrazia limitata”.

Da Repubblica

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