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I terroristi hanno disturbi mentali?

21 Luglio 2016

Giovanissimi, a volte non hanno mai nemmeno letto il Corano. Chi sono gli uomini che si trasformano in soldati dell'Isis? Lo abbiamo chiesto a Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di Psichiatria

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Nelle foto pubblicate dopo gli attentati di cui sono stati autori sembrano, spesso, giovani come tanti altri. Ragazzi dai lineamenti orientali spesso nati e cresciuti in Europa, a volte con famiglie proprie, altre soli. Spesso non hanno mai letto nemmeno il Corano ma a un tratto decidono di uccidere e diventare martiri in Occidente, in nome di Allah.

Nulla farebbe pensare alla follia omicida che covano in corpo, pronta a farli saltare in aria all’ingresso degli aeroporti, a sparare tra la folla nel bel mezzo di un concerto, a sfrecciare a zig zag lungo una strada sparando e uccidendo il più alto numero di persone possibile.

Ma chi sono questi killer? Qual è il loro profilo psicologico? Ne abbiamo parlato con Claudio Mencacci, medico psichiatra presidente della Società Italiana di Psichiatria.
Qual è la psicologia di chi diventa terrorista in Occidente?
«Ci sono diversi livelli da analizzare. A quello più alto, dove l’atto di terrorismo è studiato alla perfezione con un’organizzazione solida alle spalle, ci sono persone che hanno un grado di psicopatologia molto basso. Hanno personalità squilibrate come tanti altri ma non pensiamo che siano folli, alcuni emulatori sì, gli altri non lo sono».L’attentatore di Nizza che caratteristiche aveva?
«Lui apparteneva al livello intermedio, formato da personalità antisociali, ai margini, disadattate, spesso nichiliste, che fondamentalmente non sono né praticanti né politicizzati».

Quale caratteristica li accomuna?
«La violenza e l’iscrizione di questa violenza che hanno dentro all’interno di una storia che oggi si chiama Daesh. Chiunque oggi può improvvisarsi un suo soldato. Il livello intermedio a cui questi soggetti appartengono presuppone una organizzazione più modesta e un livello di antisocialità e personalità squilibrata che autorizzi a compiere un gesto, che accontenta chi vuole suicidarsi e gli garantisce la prima pagina».

Anche la notorietà gioca un ruolo importante?
«Non dimentichiamo che tutto questo ha sullo sfondo non tanto una questione di islamizzazione, nessuno di questi killer era un radicale, la radicalizzazione viene raggiunta sempre in pochissimo tempo. Decidono di mettersi addosso quel vestito, di sposare una ideologia qualunque, per dare un motivo alla propria violenza e al proprio nichilismo, con la garanzia di un grande risalto subito dopo».

Il terrorista che ha colpito in Germania a che livello apparteneva?
«Al terzo, quello degli emulatori. Esiste infatti una emulazione da terrorismo così come ne esiste una da suicidio. La cosa più grave è che chiunque a questo livello può improvvisarsi terrorista, perché non serve una reale organizzazione alle spalle e ciò che gli viene offerto è la copertura ideologica, l’orientamento e l’incitamento ad agire».

A quale necessità risponde chi sposa l’estremismo?
«Viene garantito a queste persone il maggior grado di rifiuto del mondo. Questa è l’unica scelta davvero radicale ed è ciò che offre Daesh e su cui c’è una sorta di contagio molto pericoloso».

Che ruolo ha la propaganda online?
«É fondamentale, nei livelli più bassi soprattutto ed è qui che deve essere bloccata. C’è un invito a compiere reati a cui viene data una patina di gloriosità e grandiosità. Si offre una facile esibizione».

Nei selfie scattati poco prima di entrare in azione, il killer di Nizza è apparso spensierato.
«Sono come le foto di chi poco dopo si suicida. Sono sfidanti, la loro motivazione è incasellare la violenza che hanno dentro nello stato islamico. Tutto questo è sempre più sostenuto dalla realtà virtuale, dove queste persone possono identificarsi e radicalizzarsi».

Da Vanity Fair

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