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“La depressione atrofizza il cervello”: in arrivo una nuova cura

10 Maggio 2016

Solo una persona su tre si cura e metà lo fa in maniera non adeguata per tempo e dosi. Una nuova molecola in arrivo, la vortioxetina, può agire simultaneamente con due diversi meccanismi d’azione: a vantaggio di un miglioramento dello stato emotivo affettivo e delle funzioni cognitive

Spesso non gli si dà il giusto peso o si pensa che non sia una vera e propria malattia. Eppure la depressione, con 33 milioni di casi solo in Europa, è una delle malattie più diffuse: un pesante fardello dall’impatto devastante sulla vita delle persone. Soprattutto se si considera che solo una persona su tre si cura, e fra questi meno della metà si cura in maniera adeguata per tempo e dosi. A causa di vergogna e stigma sociale, ma anche del l’incapacità di prendere coscienza dei sintomi con cui il male si manifesta.  A lanciare l’allarme un gruppo di psichiatri che, in occasione di un incontro a Milano, annunciano l’arrivo di una terapia innovativa “multimodale”. Una nuova molecola, la vortioxetina, in grado di agisce simultaneamente con due diversi meccanismi d’azione: a vantaggio di un miglioramento dello stato emotivo affettivo ed anche delle funzioni cognitive del paziente.

“La depressione da un lato ruba le emozioni e dall’altro atrofizza anche le performance dell’intelletto con un calo di attenzione, memoria e concentrazione e un blocco della capacità decisionale e di problem solving” spiega durante un incontro a Milano Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di neuroscienze dell’Asst Fatebenefratelli Sacco del capoluogo lombardo e presidente della Società italiana di psichiatria (Sip). “Un aspetto inizialmente non tanto considerato clinicamente, ma che negli ultimi anni si è riscontrato fin dal primo episodio depressivo e che rimane tra i sintomi residui. Tanto che le persone possono avere difficoltà a tornare com’erano da un punto di vista cognitivo”.

I numeri, avvertono gli psichiatri, sono allarmanti: la depressione raggiungerà entro il 2030, secondo le stime dell’Oms, il primo posto fra le patologie croniche. E le stime sono pesanti anche in termini di costi economico-sanitari: 800 miliardi di dollari annui, per assistenza terapeutica, e mediamente 21 giorni di lavoro all’anno persi per un lavoratore europeo depresso su dieci. Le persone colpite dalla malattia poi, generalmente iniziano le terapie con un grave ritardo sulla comparsa della sintomatologia, ed ancora meno si seguono cure idonee a ridurre le manifestazioni della malattia e soprattutto a garantire una salvaguardia della sfera affettiva e cognitiva. Nei pazienti inoltre le ricadute sono un rischio reale, risultano maggiorate del 75% in caso di almeno due episodi depressivi precedenti, e del 90% se le ‘crisi’ sono pari o più di tre.

“Per combattere la depressione in maniera efficace – continua Mencacci – occorre innanzitutto accorciare i tempi di diagnosi, oggi ancora molto dilatati. Un ritardo implicabile alla mancata presa di coscienza della sintomatologia. È inoltre sui pazienti a medio-alto rischio che va posta la maggiore attenzione e uno stretto monitoraggio: per loro potrebbe essere particolarmente indicata la nuova terapia. In particolare, sono numerose le evidenze cliniche che questa molecola vanta in termini di efficacia e tollerabilità generale ed in particolare sulla sfera sessuale e sull’aumento del peso corporeo, dove purtroppo altre terapie antidepressive oggi hanno un impatto negativo”.

“La vortioxetina, messa a punto dalla ricerca dell’azienda danese Lundbeck (il cui principio attivo sarà prodotto a Padova, per tutto il mondo), come i classici antidepressivi, ha la capacità di aumentare i livelli di serotonina, con effetti benefici sulla sfera affettiva. A questo si aggiunge anche un’azione agonista e antagonista su diversi recettori della serotonina stessa, con conseguente impatto indiretto e specifico a livello cerebrale sui livelli di altri neurotrasmettitori coinvolti nella depressione” aggiunge Giovanni Biggio, professore emerito di neuropsicofarmacologia all’Università degli Studi di Cagliari e Past President della Società Italiana di neuropsicofarmacologia.

“È come se la depressione fosse un punto di frattura – aggiunge l’esperto – come se un osso rotto, pur rimesso a posto, non tornasse come prima ma restasse più fragile. E la conseguenza è che chi ha sperimentato la morsa della depressione fa un passo indietro rispetto alla vita, si tiene sull’orlo”.

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