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Alla mia ansia ci penso io

10 Maggio 2016

Panico, stress e insonnia: due milioni e mezzo di italiani ne soffrono. E molti cercano di curarsi con terapie fai-da-te. A volte pericolose.

A volte basta così poco: un contrasto sul lavoro, un imprevisto in famiglia, o semplicemente un momento “no” di cui non si riconoscono neanche le cause. Ed ecco che arrivano le palpitazioni, le vertigini, o magari un senso di nausea, di tensione insopportabile ai muscoli, persino l’emicrania, o un lungo periodo di insonnia che lascia stremati. Così scatta una sorta di riflesso condizionato: la mano fruga nella borsetta, alla ricerca di quella compressa che rappresenta la scialuppa di salvataggio, oppure nel cassetto della scrivania, per recuperare la boccetta che ci consente di superare con apparente naturalezza l’attacco di panico senza dare troppo nell’occhio di parenti, amici o colleghi. Alzi la mano chi non l’ha mai fatto almeno una volta: è un istinto naturale, quello di aggrapparsi a un’ancora di salvezza chimica, giurando a se stessi che è tutto sotto controllo, che questa è l’ultima volta, e che tanto possiamo farne tranquillamente a meno. Eppure l’ansia, o più tecnicamente il disturbo d’ansia generalizzato (il cosiddetto DAG), non è soltanto un momento difficile in una giornata convulsa, o un brusco cambiamento d’umore quando le cose non vanno come dovrebbero. È invece una sindrome specifica, definita e riconosciuta nei manuali di psichiatria come altamente invalidante e in grado di incidere profondamente sulla qualità di vita. A soffrire di questa condizione sono, in Italia, quasi due milioni e mezzo di persone, come sostiene lo studio epidemiologico sulla prevalenza dei disturbi mentali del progetto ESEMeD (European Study on the Epidemiology of Mental Disorders), al quale hanno preso parte sei paesi europei tra cui il nostro. Si tratta soprattutto di donne: il rapporto tra pazienti femmine e maschi è infatti di 2:1, il che significa che le signore sono colpite il doppio degli uomini. E sono proprio le donne che più spesso fanno ricorso al fai-da-te con i farmaci psichiatrici: 6 su 10, come conferma Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria. Perché in generale vanno più spesso dal medico e in farmacia, si curano di più, e più di frequente prendono decisioni autonome rispetto alla propria salute. E allora via con i tranquillanti: antidepressivi, ansiolitici, ipnotici, prescritti sì dal medico di medicina generale, ma magari presi in tutta fretta, senza fare troppa attenzione alle indicazioni, al dosaggio, agli effetti collaterali. E se non sono farmaci può essere un po’ di marijuana o un bicchiere di alcol, per rilassarsi e allontanare per qualche ora i cattivi pensieri, e che invece insieme ai farmaci produce un mix micidiale. A volte invece si cerca un sollievo temporaneo nel cibo: si apre il frigorifero e si trova conforto nel budino al cioccolato. Lo zucchero infatti attiva il sistema della “ricompensa”, e il cervello produce ormoni come la dopamina che sono associati a sensazioni di benessere. Ma il senso di colpa che segue la momentanea euforia indica che il rimedio è peggiore del male. Altri si rivolgono a stimolanti come la caffeina, che in effetti – ammettono gli esperti – aiuta a vedere meno nero, ma solo per un periodo limitato di tempo. Passato il quale i livelli di insulina calano, lasciando una sensazione di confusione e cattivo umore peggiore di prima. Ma quali sono i rischi dell’autocura? «Se parliamo di farmaci, il primo rischio è quello del sovradosaggio », continua Mencacci. Che può essere più o meno grave a seconda del medicinale che si prende: alcuni possono essere assunti più volte al giorno, altri invece possono generare un effetto accumulo anche a distanza di giorni, a seconda del tempo che l’organismo impiega per eliminare il principio attivo, e dare sonnolenza, stanchezza, difficoltà nei movimenti. Proprio per questo, chiarisce Mencacci, il medico ha l’obbligo di dare indicazioni chiare e precise al paziente sulla dose e la somministrazione. Prendere farmaci in modo continuativo e senza seguire la posologia giusta può anche dare origine ad assuefazione. Accade che, alla lunga, la dose iniziale del farmaco non riesca più a dare il suo effetto. L’organismo diventa “tollerante” al principio attivo, e ha bisogno di una dose sempre maggiore per essere efficace. Così dall’uso si passa facilmente all’abuso. «Anche la dipendenza può essere una conseguenza dell’autocura», aggiunge Mencacci, sebbene il più delle volte si tratti di una dipendenza psicologica perché i farmaci di nuova generazione sotto questo aspetto sono più sicuri. In questi casi, comunque, bisogna stare attenti a non interrompere l’uso troppo bruscamente, per evitare disturbi psichici (aumento dei livelli di ansia, insonnia, apatia) ma anche fisici (stanchezza cronica o irrequietezza, tremori, tachicardia). È importante quindi rivolgersi a uno specialista che aiuti nella “disintossicazione”, con un distacco graduale e controllato dai tranquillanti. Per fortuna nel trattamento dell’ansia c’è anche un fai-da-te più leggero, più innocuo sebbene forse a volte anche meno efficace. Si tratta del vasto mondo delle terapie dolci, a base di erbe e sostanze cosiddette naturali. La valeriana, per esempio, che in alcuni studi sembra avere una certa efficacia su ansia e stress, e in altri invece non ha saputo confermare queste sue proprietà. Oppure la passiflora, che secondo la Mayo Clinic americana ha dimostrato – seppure in un esiguo numero di test clinici – di essere efficace nel ridurre i sintomi degli attacchi di ansia o di insonnia, sempre però facendo attenzione al sovradosaggio che può generare sonnolenza, vertigini e stato confusionale. Se le proprietà della camomilla sono note da tempo (uno studio dell’Università della Pennsylvania mostra che otto settimane di integratori a base di Matricaria Chamomilla riducono i sintomi dei disturbi d’ansia più che il placebo), meno famose sono le caratteristiche della teanina, un aminoacido che si trova nel tè verde, ha proprietà psicoattive, e qualcuno giura di sentirsi più calmo e rilassato dopo averne assunto qualche capsula, anche se le evidenze scientifiche relative alla sua azione sui disturbi d’ansia sono limitate.

Se proprio si vuole ricorrere al fai-da-te nei momenti critici, suggeriscono allora gli esperti della Mayo Clinic, è meglio orientarsi su altro. Per esempio un po’ di sano esercizio fisico è l’ideale per tenere a bada lo stress e migliorare l’umore, oltre che la salute complessiva. Una doccia calda, agendo su alcuni circuiti nervosi che regolano l’umore, può aiutare a rasserenarsi. E le tecniche di rilassamento (dallo yoga alla meditazione) sono un altro strumento potente per restare concentrati e non cadere preda dei propri fantasmi. E infine, la soluzione migliore per i momenti bui: una bella risata. «Ridere e coltivare il senso dell’umorismo», spiega Karen Lynn Cassiday, presidente dell’Associazione americana di ansia e depressione, «aiuta a ridurre i livelli di cortisolo legati allo stress e a rilasciare dopamina, per aumentare la sensazione di benessere». E se non trovate in giro nulla di comico aiutatevi con la tecnologia. Scaricate una delle tante app che aiutano a farsi una risata: è un’automedicazione del tutto priva di effetti collaterali.

CORRI CHE TI PASSA
I momenti “no” si combattono anche con lo sport. È questo il tema della Campagna di prevenzione primaria lanciata nei giorni scorsi dalla Lidap onlus, la Lega italiana contro i disturbi d’ansia, da agorafobia e attacchi di panico, sostenuta anche dall’Ordine nazionale degli psicologi. Se praticato senza eccessi e con regolarità, infatti, l’esercizio fisico può dare benefici importanti, sia nella prevenzione degli attacchi che nel contenimento dei sintomi dell’ansia. «L’attività sportiva» spiega Seby La Spina, presidente della Lidap, «ha un’azione positiva sulla circolazione, sull’attività neuronale, sul rilascio di endorfine, sostanze che aiutano a sopportare meglio il dolore e influiscono positivamente sull’umore degli ansiosi». Lo sport ha un effetto positivo anche sulla fiducia in se stessi, con il raggiungimento di piccoli obiettivi. 20 minuti tre o quattro volte la settimana sono una giusta base di partenza, insieme a psicoterapia e farmacoterapia, per rendere più efficace la cura.

Da D-Repubblica

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