/ Rassegna Stampa

Non sono malati, sono il male

26 Aprile 2016

Queste vicende creano sdegno immediato, poi il nulla.

Un’assoluzione a mezzo stampa:
“Credo di essere tra i pochi a capire i terribili attimi che stai vivendo. Non posso biasimarti per quello che hai fatto. lo sono stato peggiore di te, ma posso capire perché volevi ammazzare tuo padre”. Il comprensivo
mittente, confessore non richiesto, è Pietro Maso. Il destinatario con cui solidarizzare, al quale far sentire la vicinanza, è Manuel Foffo. Ed è subito cortocircuito tra cronaca, sangue e meccanismi
che sfuggirebbero a un manuale di psichiatria. Perché il primo, che uccise i genitori nel 1991 e che ora è in una comunità in Trentino per disintossicarsi dalla dipendenza da cocaina dopo aver minacciato le due sorelle, scrive a uno dei protagonisti di uno dei più efferati omicidi degli ultimi
anni. Quello di Luca Varani, il ragazzo di Roma torturato a morte il 4 marzo da Foffo e dal suo amico
Marco Prato dopo un festino a base di sesso e fiumi di droga durato tre giorni.

È come un cerchio che si chiude, l’assoluzione da parte di Maso. Ed è anche un baratro che si apre, portando con sé altri casi di crudeltà inimmaginabile, tutti balzati alle cronache nell’ultimo anno. Si passa
dall’omicidio di Gloria Rosboch, professione insegnante, strangolata e buttata in una cisterna il 13 gennaio dall’ex studente Gabriele Defilippi a Castellamonte, in Piemonte, manipolatore trasformista così abile al
punto di coinvolgere in un turbinio di truffe e sangue anche il suo amante Roberto Obert e la madre Caterina Abbatista. Si passa da Martina Levato e Alexander Boettcher, descritti dalle cronache
come “la coppia dell’acido”, colpevoli secondo due sentenze di primo grado di aver orribilmente
sfigurato glí ex di lei solo perché la ragazza doveva “purificarsi”. E si passa anche per Paolo Pietropaolo che il 1° febbraio ha cosparso di benzina e dato alle fiamme la sua ex compagna Carla Caiazzo, incinta di 8 mesi della loro bambina, salvata solo per miracolo dai medici con un disperato parto d’emergenza.
Il male per il male, l’annientamento per l’annientamento. Una scia di ferocia che sembra un’escalation. Perché se Maso, che con tre amici massacrò madre e padre a padellate per poi andarsene a ballare, colpì indelebilmente e per anni l’opinione pubblica, la crudeltà di questi nuovi Maso sembra quasi scritta a matita.

Oggi colpisce, domani è cancellata. «È l’assuefazione dell’orrore che alza l’asticella dell’indignazione anche negli spettatori», spiega Claudio Mencacci, direttore del dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano e presidente della Società italiana di psichiatria. «Si consuma tutto subito, quindi anche queste vicende per quanto crudeli creano riprovazione sociale solo nell’immediato». Non solo. «Informarsi a proposito di questi casi in Tv o sui giornali», aggiunge la criminologa Immacolata Giuliani, «ha come esito la sublimazione dell’aggressività dello spettatore. È il malvagio che affascina perché fa quello che vuole, mentre al contrario la persona qualunque grazie al cielo ha dei freni inibitori che glielo vietano». Il male che però non va confuso con la malattia. «Ciò che mi pare leghi tutti questi casi», riprende lo psichiatra è il comportamento antisociale. I colpevoli tendono a razionalizzare il proprio atto criminale, a giustificare la sofferenza inflitta alle vittime rovesciando la responsabilità sugli altri.

Ma soprattutto c’è la mancanza totale dell’identificazione nell’altro». Il concetto di etica è nullo. «Non esiste una coscienza morale, ma soprattuto l’umana simpatia nell’accezione greca del termine, ovvero, soffrire insieme. a un’anestesia affettiva», continua Mencacci. Che scomoda un altro concetto spesso frainteso: «Lo stile relazionale di questi soggetti è sadomaso nel senso che, accanto alla assoluta mancanza
di tolleranza alla frustrazione, prevale la legge del potere. L’aggressività, la prepotenza, la violenza sul legame emotivo».
Si mira all’annientamento. Alla sofferenza per il proprio tornaconto, a volte solo per il proprio divertimento. «Per loro è un tunnel che una volta imboccato è senza scelta, sono come serial killer che non si placano fino alla fine», riflette la criminologa Giuliani. Che punta il dito anche sulle confessioni.
«Si percepisce l’assenza del senso di colpa. Nella confessione rivivono il fatto, ma in modo controllato e anaffettivo per ottenere un proprio obiettivo. Sulle vittime non una parola».
Proprio sulle vittime c’è anche chi parla di una verità scomoda: «Il carnefice è un ammaliatore, un seduttore manipolatore», continua Giuliani, «ma la vittima che crea una relazione con lui ha avuto molti campanelli d’allarme su ciò cui andava incontro e non ha saputo o voluto difendersi. Inconsapevolmente
si è messa in pericolo». Ma ci sono anche padri e madri, in questi casi. Come Valter Foffo e Ledo Prato,
papà di Manuel e Marco, che si sono affrettati a dichiarare pubblicamente quanto i figli fossero ragazzi modelli.

O Patrizia Ravasi, madre di Alexander Boettcher, che al padre di una delle vittime, che aveva riconosciuto Alexander mentre inseguiva con un martello il figlio già sfigurato, ha scritto chiedendo di ritrattare la testimonianza: “Altrimenti rovinerà la vita di Alexander”. «Si tratta di famiglie all’apparenza perfette, lontane dal disagio, ma che nascondono patologie profonde», continua la Giuliani. «Atti violenti
come questi non si improvvisano. Dietro, questi ragazzi hanno una scia di comportamentì violenti sempre negati o coperti dalle famiglie. Assolvendoli contro l’evidenza, ora i genitori assolvono se stessi». Immaginare un recupero è quasi impossibile. «Conoscendo solo la legge del più forte», conclude Io psichiatra, «seguono percorsi di riabilitazione solo perché imposti da giudici e psichiatri. Intuiscono che sono funzionali a un proprio scopo, per esempio un’attenuazione della pena.
Ma la loro visione della realtà, quella giungla nella quale vince chi annichilisce l’altro a suo piacimento, non può modificarsi». Come eterni, spietati narcisi, impegnati a specchiarsi nella propria immagine senza che lo sguardo si posi mai sulla sofferenza dell’altro.
Alessandra Gavazzi

Da Gente

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