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Lo «stigma» della malattia mentale esiste anche nelle strutture di cura?

15 Aprile 2016

Un incontro di «Fondazione Itaca», a Milano, per riflettere su pregiudizi e modi
di entrare in rapporto con i pazienti e con le loro famiglie. Tra cambiamenti e resistenza

di Daniela Natali

Stigma, ovvero «marchio»,«macchia». Di stigma della malattia mentale siamo abituati a sentir parlare in riferimento alla società presa nel suo intero, ma che se ne discuta a proposito delle strutture in cui la patologia psichiatrica viene curata è più insolito. A questo tema ha voluto dedicare un incontro, a Milano, l’11 aprile, la «Fondazione Itaca» costituita nel 2012 e nata all’omonima associazione, fondata nel 1999, a Milano, (e che ora a sedi in tutta Italia) da un gruppo di volontari con l’obiettivo di attivare progetti di informazione, supporto e riabilitazione per le persone con disturbi mentali e e le loro famiglie.
Tre le domande rivolte a quattro psichiatri responsabili di Unità e Dipartimenti di salute mentale di Milano e Lecco: «I pregiudizi danneggiano le persone malate e rendono più difficile il percorso di recupero?»; »Quali elementi rinforzano la svalutazione della persona malata e dei suoi familiari all’interno dei vostri servizi?»; «Il servizio di cui siete responsabili ha messo in atto iniziative pratiche contrastare i pregiudizi?».

I limiti sottolineati dai pazienti

Trascuratezza degli ambienti, mancanza di spazi in cui ricevere amici e parenti, minore attenzione ad approfondire i problemi fisici, rischio di omogeneizzazione e costrizione in categorie costruite in base alla diagnosi, con il pericolo di veder sottovalutate le caratteristiche e le abilità personali. Difficoltà nel garantire continuità di cure e nei contatti con gli enti sul territorio. E spesso – aggiungono i pazienti e i loro familiari- sfiducia nelle possibilità di guarigione o miglioramento dei malati. «Una svalutazione percepita dai pazienti che la interiorizzano con un incremento di quello «stigma interno» che già vivono e li fa sentire in colpa e pesa sulle famiglie spingendole perfino a nascondere la malattia dei parenti. E gli stessi malati a nascondersi e a non cercare aiuto» sottolinea Ughetta Radice Fossati , segretario generale del Progetto Itaca

Le risposte dei medici

«Sottovalutazione dei problemi fisici? Si calcola che un persona con disturbo mentale viva 15 anni meno della media. Anche per le difficoltà che ha a seguire qualsiasi terapia. Ambienti degradati? Meno facile per noi ricevere finanziamenti pubblici e donazioni.Volete mettere l’appeal di un reparto di pediatria rispetto a uno di psichiatria?» dice Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di salute mentale e Neuroscienze all’ospedale Fatebenefratelli di Milano. Ma non è solo questione di quattrini. Come sottolinea Antonio Lora , direttore del Dipartimento di Salute mentale dell’ospedale di Lecco: «Lo stigma della malattia mentale colpisce tutti, anche noi. Ma è un argomento che non viene mai affrontato, men che meno nelle università. In un’indagine, fatta a Napoli, si è visto che i pregiudizi nei confronti di chi ha un malattia mentale, passando al primo al quinto anno degli studi di psicologia, aumentano invece di diminuire».
«Lo stigma non colpisce però solo i malati psichiatrici, ma chi appartiene a un’altra razza, a una minoranza: è il meccanismo con cui il “grande” gruppo si difende dal piccolo gruppo di “diversi” di cui ha paura» riflette Maria Isabella Greco , coordinatrice del Dipartimento di Salute mentale dell’ospedale San Carlo Borromeo di Milano.
«Ma anche gesti apparentemente di minore importanza possono fare la differenza , per esempio dare rigorosamente del “lei” ai pazienti e cercare di mantenere in uno stato decoroso gli ambienti su cui spesso si rivolge la rabbia e la disperazione dei pazienti» ribatte Costanzo Gala, direttore dell’Unità Operativa di Psichiatria 1 , al San Paolo di Milano.

I progressi e i punti ancora critici

Disponibilità ad accogliere l’aiuto dei volontari, obbligo (rispettato) di garantire Piani di cura individuali e continuità delle cure, contatti continui con i servizi sul territorio per favorire il reinserimento sociale: tutti gli psichiatri presenti dichiarano che, da loro, si tratta di prassi consolidate. Ma dai questionari cui ha risposto un campione dei familiari che frequentano i corsi tra «pari»: da famiglia a famiglia, che Progetto Itaca organizza emergono punti critici . Sottolinea Felicia Giagnotti Tedone, responsabile della formazione a Progetto Itaca — le 600 persone, o meglio famiglie, coinvolte nei nostri questionari, nel 55,6% dei casi hanno detto di ignorare che cosa fosse il Piano terapeutico individuale e di non sapere se il loro familiare ne aveva uno; il 64 ,5% di essere stato coinvolto poco o nulla nel percorso di cura».
E che sia difficile per tutti pensare in “positivo” quando si ha a che fare con la malattia mentale lo ricorda Ughetta Radice Fossati: «Progetto Itaca è fondato sulla convinzione che tutti i soci: malati, ex malati familiari, volontari siano pari. Nei nostri corsi un malato, adeguatamente formato, parla ad altri, una famiglia ad altre. Cerchiamo di valorizzare i talenti e le predisposizioni di ognuno. L’idea , però, che un malato non sia in grado di aiutare gli altri e ci debba essere per forza un “professionista a guidare i lavori è ancora presente. Ma in questo modo, a parer nostro, si rafforza lo stigma della malattia» .

Da Corriere.it

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