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Capire i gesti senza giudicarli

21 Marzo 2016

Per poter curare una persona che ha bisogno di aiuto è necessario non giudicare i comportamenti ma comprenderli.

Luca Varani, 23 anni, è stato ucciso venerdì 4 marzo al Collatino, a Roma, in una notte di delirio alcolico e di droghe da Manuel Foffo e Marco Prato. Un omicidio brutale, apparentemente inspiegabile, gratuito.
Come inconcepibile è la frase intercettata di Pietro Maso, 44 anni, tornato in libertà dopo 22 anni di carcere per aver ucciso i genitori in provincia di Verona il 17 aprile 1991: «Sono tornato per concludere il lavoro di 25 anni fa», ha detto qualche giorno fa riferendosi alle sorelle. Dunque l’uomo l’umanità è per sua natura buono o cattivo? E, se è buono, che cosa lo rende cattivo? Oppure, se è malvagio, che cosa lo può redimere? Forse la cultura, cioè l’educazione? O la bellezza (per esempio l’arte, per esempio la musica)? Oppure la legge (quella dell’uomo, ma anche quella di Dio)? Abbiamo chiesto a nove studiosi medici, scienziati, filosofi, teologi, umanisti, artisti di provare ad affrontare queste due domande. Quelle che seguono sono le loro risposte.
Lo psichiatra.
Capire i gesti senza giudicarli
di CLAUDIO MENCACCI
Il punto di vista dello psichiatra per arrivare alla risposta se l’uomo sia buono o cattivo è particolare. Per
poter curare una persona che ha bisogno di aiuto è necessario non giudicare i comportamenti ma comprenderli.

Abbiamo imparato a riconoscere nella stessa persona istanze di controllo razionali e pulsioni emotive.
Abbiamo imparato a comprendere come l’uomo e la sua storia siano il frutto di un equilibrio dinamico di tali istanze contrapposte, in perenne conflitto nell’individuo e nella società. Da tale conflitto nasce un equilibrio più o meno instabile che caratterizza la storia di ognuno di noi e del contesto in cui viviamo. Pertanto quando ci avviciniamo all’area pulsionale di un paziente abbiamo la consapevolezza di intervenire su un ingrediente essenziale dell’essere umano. E l’area pulsionale contiene elementi inconfessabili di cui ci si vergogna, che interferiscono nella nostra vita benché cerchiamo di relegarli in una sfera inaccessibile
anche a noi stessi. Questi elementi i spesso appartengono al regno della rabbia, dell’aggressività, dell’invidia e dell’odio.
Il nostro lavoro è aiutare la persona a rendere pensabili tali elementi, imparare a padroneggiarli senza vergogna quando siamo in relazione con gli altri. Ecco perché riconoscere quanto siamo «cattivi» ci rende più capaci di vivere con serenità. Rabbia e aggressività vanno vissute aiutati da un senso etico che ci permette di riconoscere quando causiamo sofferenza negli altri. Per noi psichiatri i «cattivi» sono coloro che giungono da noi senza vera sofferenza e una domanda di cura. Spesso sono inviati da familiari e
amici, a volte da enti o dall’autorità giudiziaria. Persone che sembrano (o sono) insensibili alla sofferenza che provocano nell’altro. Ci viene richiesto di curarle per trovare una giustificazione medica a comportamenti che non necessitano di giustificazione. Comportamenti volti al soddisfacimento
pulsionale dell’individuo senza attenzione alle persone a cui procuriamo sofferenza. Questa è una cattiveria inemendabile clinicamente perché non appartiene a una vera definizione di malattia. Questa è una cattiveria spaventosa.

Da Corriere della Sera

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