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I pregi e i limiti dell’ultima «bibbia» degli psichiatri

24 Novembre 2013

Disturbi mentali Fa discutere la quinta edizione del DSM

Il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders , dell’American Psychiatric Association (APA), giunge alla quinta edizione: è il DSM-5 che, come le precedenti edizioni, rappresenta uno dei sistemi di classificazione dei disturbi mentali più usati sia per l’attività clinica, sia per la ricerca. Se ne parlerà al Congresso della Società italiana di psichiatria, intitolato “Il DSM-5 e i suoi riflessi nella pratica psichiatrica clinica in Italia: le principali revisioni e novità”, a Firenze dal 29 al 30 novembre. L’arrivo del DSM-5 è accompagnato da discussioni e punti di vista contrapposti, soprattutto per il timore di un allargamento dei confini della patologia psichiatrica, con eccessiva medicalizzazione della società, contrazione degli spazi di libera espressione di sé e un’indebita diffusione di trattamenti psicofarmacologici. Qualche esempio: con il DSM-5 la perdita di una persona cara e il conseguente lutto potranno portare alla diagnosi di Depressione maggiore ; oppure le piccole e finora normali dimenticanze che affliggono le persone un po’ in là con gli anni saranno catalogate come Disturbo neurocognitivo lieve . Ancora più preoccupante è la nuova diagnosi di Disturbo di disregolazione dirompente dell’umore : in pratica gli scatti di rabbia ripetuti potranno essere diagnosticati come disturbo mentale, e c’è preoccupazione per i bambini, ai quali potrebbero essere prescritti psicofarmaci. Fenomeno già accaduto quando furono identificati il Disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) e il Disturbo bipolare infantile. D’altro canto, in questa edizione del DSM si tenta anche per la prima volta di arrivare a un più solido collegamento tra sintomi psichiatrici e alterazioni di funzionamento del cervello. «Si cerca di creare una classificazione a partire dai sintomi e dalla loro caratterizzazione disfunzionale, per procedere poi all’identificazione dei processi neurali, e anche dell’eventuale supporto di basi genetiche, dice Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di Psichiatria. Il DSM-5 cerca di compiere questo passo fondamentale, confermando, laddove ci sono dati empirici affidabili, l’utilizzo dei gruppi di sintomi per costruire le categorie diagnostiche. Infatti, purtroppo oggi non ci sono ancora test biologici basati su geni, marcatori nel sangue o immagini cerebrali che aiutino a diagnosticare la malattia mentale. Così, la diagnosi è basata su una descrizione, un processo per sua natura soggettivo. È per questa assenza di test diagnostici oggettivi che in psichiatria, più che in altre discipline mediche, sono importanti l’esperienza, la competenza dei clinici e la disponibilità di sistemi diagnostici come il DSM-5 o l’ICD-11, previsto per il 2015». La spinosa questione del limite tra il comportamento normale e quello patologico è di ampia importanza sociale. Secondo una stima circa il 38% degli europei soffre di qualche disturbo psichico nel corso della vita e l’OMS prevede che nel 2020 i disturbi psichiatrici maggiori avranno un ruolo importantissimo nel generare disabilità e suicidi. «I disturbi mentali sono una delle più ardue sfide da affrontare nel XXI secolo, ? conclude Mencacci ? ancora più impegnative alle luce della crisi e della conseguente riduzione di servizi. Anche per questo la psichiatria si sta muovendo sempre più nell?area della prevenzione, e quindi del riconoscimento precoce dei disturbi psichici, che nel 75% dei casi compaiono entro i 25 anni di età».

Da Corriere della Sera

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